23 Dic Sonia Maria Luce Possentini
Ho incontrato l’illustratrice Sonia Maria Luce Possentini, nella sua splendida casa, dove ogni stanza rivela angoli di bellezza. Sonia non è solo una illustratrice con la “I” maiuscola, ma una lavoratrice instancabile, e la sua arte vibra di questo lavoro meticoloso e accurato.
Nell’intervista mi sono mossa con passi discreti dentro a un mondo privato custodito con tanta dedizione.
Cosa c’è in questa stanza?
È una stanza di energia. Ci sono le cose che mi riguardano. I colori che uso e quelli che devo ancora sperimentare. Tanti libri, alcuni di cui mi dimentico e poi ritrovo.
Il silenzio e poca musica. È una stanza in cui mi metto in ascolto del mondo, di quello che è fuori.
Dalla finestra vedo il giardino e attraverso questa finestra il giardino entra nella stanza, con le sue casette per gli uccellini.
Questa stanza è un nido costruito a misura, qui trovo conforto, con i miei cani sempre presenti.
Cosa significa essere illustratrice?
Nel tempo ho trovato una risposta a questa domanda.
Io vengo dalla pittura, quindi, quando ho iniziato ad illustrare, ho dovuto affrontare la narrazione.
Essere illustratrice significa cercare di leggere il testo dentro, trovare il seme narrativo, alle volte ribaltare anche quello che il testo dice – quel lupo che è dentro di te e nessuno vede.
Quando leggo un testo io vedo le immagini, come le sequenze di un film. Mi sento molto regista. L’illustratrice è una persona che non ha il potere della parola e deve evocare con l’immagine quello che prova e che non prova, deve avere inoltre il potere della sintesi.
C’è un artista che più ti appassiona?
Il pittore belga Léon Spilliaert.
Per me lui è il sogno. Spero sempre di incontrarlo nei miei sogni e che mi indichi la strada.
È umbratile e nella sua arte mi sento a mio agio.
Sono molto legata anche a un libro: “Dal vulcano al caos. Diario siciliano” (edizioni L’ippocampo). Questo libro ha una scrittura così viva e potente che ti sembra di respirare quei luoghi. È un libro trovato per caso amando la copertina.
Quale era una tua passione da bambina? E un tuo sogno da bambina?
La mia passione da bambina era disegnare, disegnavo tutto, soprattutto disegni di fantasia.
Il mio sogno era di conoscere mio zio partigiano che non ho mai conosciuto. Lui ha fatto il partigiano nei boschi. Io ho sempre avuto paura del buio e avevo paura che il buio potesse portare la morte. Avrei voluto chiedere a mio zio come superare questa paura.
Se dovessi lasciare un consiglio ai bambini (quelli che leggeranno questa intervista, quelli che incontri nei tuoi laboratori, quelli che conosci) quale lasceresti?
Se avete paura, se avete bisogno di qualcosa, voi ditelo sempre e chiedete. Abbiamo bisogno di capirci con le parole, abbiamo bisogno di sentirci di più. Spesso ci si sente inadeguati a chiedere, invece se non si chiede ci si sente soli. Bisogna esternare per salvarsi.